PIGLIATI UN BRODO
di Igor Francescato

Libera riduzione a sceneggiatura cinematografica dell’omonimo racconto di Alberto Moravia 
SCENA 1  

Negozio di Mario, interno giorno

Un vecchio negozio di tappezziere al piano terra, al Testaccio, di fronte il Tevere, con alberi in fiore lungo gli argini. Dalle ampie vetrate si vede scorrere stanco e asciutto il fiume. Mario, un attempato tappezziere, oltre la sessantina, indossa un grembiule marrone con ampie tasche in cui spuntano un martello e una forbice, fronte stempiata, capelli bianchi, pancia pronunciata, maglietta bianca e jeans consunti dal lavoro, viso un po’ tirato e solcato da piccole rughe, assorto, sta cambiando con perizia la stoffa di un antico divano. Si sentono i rumori del suo lavoro ed in lontananza il traffico cittadino. Il locale è ampio ed alto, illuminato da un intenso sole che crea forti contrasti nell’ambiente; appoggiati alle pareti scaffali pieni di arnesi del mestiere, qualche quadro di paesaggi montani e natura morta, poltrone e sofà antiquati ritti e chini contro il pavimento, pezzi di stoffa sparsi per terra e sui mobili, grandi rulli di tessuto accumulati negli angoli e su un grande tavolo, una scrivania con poltrona d’ufficio non lontano dalla porta d’ingresso. Sullo scrittoio documenti sparsi, una calcolatrice a rullo, un telefono, varie penne e tre fotografie in eleganti cornici: in una Mario, già vecchio, con una donna matura al suo fianco e suo figlio Luca, nell’altra Luca, ragazzo sveglio ma bruttino, un po’ sovrappeso e nell’ultima lui e la giovane moglie, donna magra e pallida, di modesta bellezza, nel giorno del recente matrimonio.  

VOCE FUORI CAMPO (è Mario): Sono quarant’anni che faccio il tappezziere, qui, nel mio laboratorio, che è anche la mia casa. Tre anni fa è morta prematuramente Rina, che mi ha dato Luca, ora adolescente ed io non sono riuscito a star senza moglie. Così ho sposato Giulia, trent’anni più giovane, era un angelo quando l’ho conosciuta, ed ora che si è accasata vuole fare la padrona, comanda lei, decide lei, compra tutto lei, ha voluto cambiare anche il nome della ditta. E per fortuna che va di moda tappezzare i muri, che non so’ come camperei…  

Abbiamo appena finito di esaminare la scrivania che la nostra attenzione viene portata sul telefono che cominica a squillare.  

MARIO: Tappezzeria Divani d’Oro, buongiorno.

VOCE: beh, ma perchè ti sei sposato?  

MARIO: che?  

VOCE: ma pensi che tua moglie ti ami? Che povero illuso…  

MARIO: ahò, ma chi sei, che vuoi?  

VOCE: ti dò solo un consiglio: pigliati un brodo.  

MARIO: oh, ma chi seei? Di che t’impicci? Pronto? Pronto? 

SCENA 2  

Casa di Mario, interno sera

 Appartamento spazioso, arredato in stile moderno. Subito all’ingresso il salotto in pelle nera, una gran 

televisore vicino al muro, una poltrona ergonomica idromassaggiante da cui Giulia sta’ guardando,  

rilassatissima la tv, grande tenda scura di raso a coprire la finestra, ai muri gigantografie di Ringo, il suo  

barboncino bianco, in fondo la cucina in penombra. Si sente forte l’audio di una telenovela spagnola. 

MARIO: ciao Giulia, che c’è per cena, che ho appena finito e sono stanco morto.  

GIULIA: vieni qua piccolo, su, sali dalla mamma (rivolta al cane). Ma non vedi che c’ho daffà?  

Ahò ma che credi che sia la tua serva? Va di là, va, qualcosa in frigo ce stà. Ah, dai le  

crocchette a Ringo, che prima nun c’aveva fame. Sono di là, solito scaffale. Va, va.  

MARIO: tzè, ma almeno abbassa ‘sta cagnara, che mangno in pace.  

SCENA 3  

Negozio di Mario, interno giorno  

Mario è seduto alla scrivania, intento a fare una fattura per un cliente. Suona il telefono.  

MARIO: Tappezzeria Divani d’Oro, buongiorno.  

VOCE: buongiorno Salvi. Che stai affà?  

MARIO: ah, sei ancora tu? Faccio quel che voglio, perchè, qualcosa in contrario?  

VOCE: no no, figurati, finisci pure la fattura, ma posso anche dirti che sta’ facendo tua  

moglie… Sta’ civettando con l’impiegato di Abiti & Stile, il negozio dietro l’angolo.  

MARIO: ma che ne sai tu? Chi te l’ha detto?  

VOCE: se non mi credi, vacci, e vedrai. Del resto, caro Salvi, sei vecchio, e chi ce vò sta’ con  

te: a lei piacciono i giovani prestanti, è una giovane piccioncina lei…  

MARIO: infame zoticone che non sei altro, ma cosa vuoi da me?  

VOCE: dammi retta, pigliati un brodo. 

SCENA 4 

Casa di Mario, interno sera 

Mario rientra in casa, seccato, con voglia d’attacar briga. Trova la moglie sprofondata sul divano, intenta a  guardar la tele, ancora vestita da donna provocante, con ampia scollatura, maglietta nera attillata che non le copre neanche la panza, minigonna di jeans e calze nere decorate di fiori multiformi. 

MARIO: ah, complimenti, bel vestito! Complimenti veramente per la scelta, non me lo ricordo questo. Deve esser simpatico l’impiegato del negozio, se ti consiglia così bene.  

GIULIA: ma che vvoi? Che c’hai da rompe? Sarai elegante tu, con quello straccio di tuta che manco la trippa ti nasconde. E levate, che ce sta’ ‘a Maria.  

MARIO: ma la finisci di fare la smorfiosa con tutti gli uomini che ti passano intorno?  

GIULIA: ma ti sei visto? Un povero vecchio rimbambito sei, meriteresti sì che ti mettessi le corna, ma alte quanto dico io. Va, finiscila, scaldate la pizza che è in frigo, ‘na novità, dicono, e levate, che non vedo con chi ce l’ha quell’imbecille che piagne.  

SCENA 5  

Negozio di Mario, interno giorno  

Nel negozio sta’ uscendo un cliente, quando squilla il telefono.  

MARIO: pronto?  

VOCE: Salvi, come stai?  

MARIO: io bene, e tu?  

VOCE: benone. Chi invece non è contento, è tua moglie. Perchè sei vecchio, non le basti, lei è  

giovane, ti rendi conto, no?  

MARIO: senti, mò m’hai stancato. Ti faccio pentire come dico io se ti becco. Ho il telefono sotto controllo, continua a parlare, dai, che poi vediamo chi è il vecchio.  

VOCE: perchè ti sformi tanto? tua moglie presto starà meglio. E pigliati un brodo.

 SCENA 6 

Casa di Mario, interno sera 

Si apre la porta d’ingresso, entra Mario stanco e spossato, che tira un calcio al cane che gli si avvicina  mentre la moglie guarda fissa la tv, e poi si avvia verso la cucina.  

MARIO: c’è niente di pronto?  

GIULIA: no, stasera ho deciso che ceniamo fuori.  

MARIO: cosa hai detto?  

GIULIA: si cena fuori, datte ‘na lavata, te porto a magnà li saltimbocca che te piaccion tanto.  

MARIO: che non stai bene?  

GIULIA: finiscila, lavate e mettete la roba che c’è sul letto. E levate da lì, che se stanno baciando, quei dù fij de ‘na…  

Mario incredulo, ma in fondo con qualche speranza, si avvia verso il bagno, e mentre vediamo sbocciare un nuovo amore nella casa del Grande Fratello, si sente lo scrosciare della doccia. 

SCENA 7  

Osteria “da Marcello”, interno sera  

Trattoria semplice, ambiente familiare, ricorda una vecchia taverna di amici, con tavole in legno massiccio,  sedie di paglia e vecchi mobili ricchi di vettovaglie, lampadari stile antico, luce calda. Ci sono vari tavoli occupati da famiglie al completo, qualche coppietta di giovani, si respira aria intrisa di sugo, griglia e rosmarino. Un cameriere sulla quarantina, affabile, con grembiule bianco macchiato di fresco passa a prendere le ordinazioni, mentre una signora mesce il vino dietro ad un vecchio bancone di legno scuro e dietro a lei, in fondo, si nota il movimento nelle cucine. Un brusio intenso fa da tappeto sonoro, superato dal rumore occasionale di posate battute sui piatti e dal vocione del cameriere rivolto alla cucina. Mario e Giulia siedono ad un tavolo appartato, intimo, mentre lui è già carico e rosso in viso.  

MARIO: sarà stato l’abbondante antipasto, sarà stato il vino rosso dei colli, ma non mi sento proprio bene…

GIULIA: smettila cor vino, che c’abbiamo la griglia dopo, che vuoi buttare tutto ar cesso?  

MARIO: no no, cara, magari salto li spaghetti, ma li saltimbocca me li magno.  

GIULIA: ecco, bravo. Anzi, sai che te dico, adesso, pigliati un brodo! 

Mario a quella frase trasale, si vede dall’espressione del viso che gli viene quasi un mancamento e mentre Giulia incurante ordina la minestra, lui rimane come imbambolato con gli occhi persi nel vuoto. Si ricorda che una situazione simile l’aveva vissuta qualche anno prima, quando con famiglia, parenti e amici, era andato a festeggiare la cresima del figlio, proprio in quello stesso locale. Poi si dà coraggi,o bevendo di botto un altro bicchiere di rosso, e sembra dimenticarsene, curandosi di quello che arriva a tavola.  

SCENA 8  

Negozio di Mario, interno giorno

Mario canticchia allegramente, mentre ripara una vecchia poltrona, è colto da un’insolita gioia. Suona il telefono.

MARIO: pronto buongiorno.  

UOMO: salve, sono l’ingegner Carlotti, vorrei sapere se il mio divano l’ha sistemato.  

MARIO: ingegnere carissimo, aspetti che vedo… Sì, è pronto. Lo può ritirare quando vuole.  

UOMO: la ringrazio Mario, a presto.  

Mentre Mario sta’ tornando verso la poltrona, squilla di nuovo il telefono.  

VOCE: è l’ultima volta che ti telefono.  

MARIO: ah, meno male. Allora arrivederci.  

VOCE: aspetta Salvi, sai perchè è l’ultima volta che ti chiamo?  

MARIO: perchè?  

VOCE: perchè tua moglie ti ha piantato, è partita con Franco, il benzinaio, quello della stazione di via Gracchi.  

Mario sussulta, non risponde, sa che è inutile. Si rimette lentamente a lavorare, cercando di non pensarci.  

SCENA 9  

Negozio di Mario, esterno giorno  

Il Tevere continua a scorrere lento, sugli argini alberi quasi secchi tremolano al vento lasciando cadere foglie ingiallite che scorrono via con il fiume. Si vede Mario da una finestra del suo laboratorio, mentre chino fissa un tessuto scuro contro l’intelaiatura di una grosso sofà. Sembra stanco e afflitto, ogni tanto guarda fuori come a cercare qualcosa, il ritorno di qualcuno e per un attimo scruta con occhio interrogativo il telefono. Passa della gente ben coperta, il rumore del traffico copre tutto, un tram si ferma davanti al negozio, coprendo la visuale.  

SCENA 10

Scuola di Luca, esterno giorno  

Un gruppetto di ragazzini sta’ giocando a pallone nel campetto della scuola media. Tra essi Luca, paffuto, che si sforza a rincorrere la palla. La scuola è finita da poco e solo loro sono rimasti a giocare. Arriva Mario che si ferma ad osservare il figlio davanti al cancello d’ingresso.  

RAGAZZO: dai Luca, prendilo prendilo che stavolta segni! Dai, vai!  

LUCA: non vale, l’hai toccato con ‘e manii, rigore! RIGOREEEE!!!  

Si capisce che Mario è colpito da quell’urlo, da quella voce, sembra d’un tratto ricoscerla. Si ricorda le telefonate anonime che ha ricevuto, riascolta mentalmente quella voce ed è ora sicuro che appartiene a suo figlio. Gli crolla il mondo addosso, prova un sentimento di disgusto che si trasforma in rabbia furiosa, gli viene il desiderio irrefranabile di menare Luca.  

LUCA: e dai Sergio, che t’ho visto smettila, non vale.  

Luca voltandosi nota il padre che l’aspetta e gli va incontro felice, abbracciandolo. Mario è come disarmato.  

LUCA: papà non ti avevo visto! e’ da tanto che eri qui? Eh!  

MARIO: ehm, Luca, se vuoi finì la partita fai pure, tanto la cena è quasi pronta. Ti aspetto a casa.

LUCA: ma no, andiamo insieme, su, dai!  

Luca gli prende la mano ed si avviano, sul lungotevere, mentre il sole tramonta alle loro spalle.  

VOCE F. C.: l’avrei riempito di sganassoni poco fa, mi era preso un tremore alle mani che non so’ come mi sono controllato. Un figlio deve portare rispetto al proprio padre… ma forse, dopotutto, sia pure per telefono, Luca aveva detto la verità e mi avvertito del mio errore. E se un figlio non dice al padre la verità, a chi deve dirla?  

FINE
(scritto nel 2005 come esercitazione scolastica, materia italiano (frequentavo l’Istituto Cine – TV Roberto Rossellini di Roma)
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