MARIO E IL MARÌO
di Igor Francescato

Trasposizione e libero adattamento a opera teatrale in dialetto veneto del racconto “Mario” di Alberto Moravia
PERSONAGGI

GINO, il tecnico riparatore

MAURO detto SANDOKAN, il parrucchiere per signora

LUCIA, giovane apprendista del parruchiere

ELENA, una signora

MONICA, seconda signora

MARIA, terza signora

PAOLA, quarta signora

LUIGINA, moglie di Gino

MARIO, fratello di Luigina

SCENA I

Interno del negozio “TOTAL AIR STYLING” (il nome si vede appeso in grande sulla parete, scritto a mano), di Quinto di Treviso, paesello veneto di 10.000 anime. Sandokan, così soprannominato per la somiglianza con la Tigre della Malesia, sta acconciando un paio di signore, goffamente aiutato da Lucia. Maria ed Elena, due clienti sulla quaratina, stanno facendo una la messa in piega, con il capo sotto un enorme phon, e l’altra la colorazione e sono rivolte entrambe verso il pubblico (che è il loro specchio) e chiaccherano piacevolmente fra di loro, borbottando per il caldo. Sono sedute al centro della scena, accanto a loro ci sono due poltrone libere. Sullo sfondo foto di modelle acconciate con moderne pettinature e un cartello che dice “Se bella vuoi apparire, qualche pena devi soffrire”. In sottofondo la musica proveniente dalla radio locale.

MARIA: madooonna che caldo, ostia! Ma te pàr giusto, Elena, che paghemo par farse i cavèi, e se fèmo anca la sauna, ah? Vaben che xe lujo, ma sarìa ora che el caveon (indicando con gesto del viso Sandokan) riparasse sto condizionatòr, ostia!

ELENA: te gà rason Maria! E’ un caldo insopportabile qua dentro (alzando un po’ la voce e guardando con aria di sfida Sandokan).

SANDOKAN: uè calme pollastre! Ho chiamato el Gino, che fino a ieri era impegnato, ma stamattina mi ha promesso che arriva, beline! Te capì?!?

MARIA (guardando prima Sandokan e poi l’amica): beh, mi ghe credo poco…

ELENA: anch’io ci credo poco! E come farà quell’ostia de Mauro a non aver caldo con tutti quei capelli che si ritrova, proprio non lo so’…

PAOLA (signora grassoccia sulla cinquantina, seduta sull’estrema destra, agitandosi, con una montagna di schiuma sulla testa, sulle orecchie e sugli occhi): ah! Aiuto! No ghe vedo più! Gò la schiuma dappartutto! Ma cossa combinitu, giovine! Tirame via sta roba dai oci! Ah! Come brusa!

SANDOKAN (togliendo bruscamente di mano di Lucia la doccia): dame chi! Ghe pens mi! Così si fa! (e così dicendo apre violentemente il rubinetto dell’acqua e annaffia completamente il viso della povera Paola).

PAOLA (annaspando per respingere l’acqua dal viso) : coff coff! Mauro, ma voè coparme?!? Ecco cossa se guadagna ad assumar ‘na putea la settimana, par pagar pochi contributi! Par poco restavo secca! Ve vegnesse…

Si sente bussare alla porta e subito dopo entra Gino, da sinistra, trentacinquenne di media statura, sano e di bell’aspetto, che interrompe.

GINO: comparmesso… Ciao Mauro! Son vegnuo…

SANDOKAN (interropendosi subito, andano incontro al tecnico): to’ Lucia, continua tu, che io c’ho da fare… Caro Gino, prego… Ti mostro subito dov’è la macchina… (guardando Elena e Maria): visto signore? Il fresco è servito!

MARIA (sottovoce, sarcastica, rivolgendosi ad Elena): almanco queo!

SANDOKAN: dovresti salire sopra, e arrivare all’impiantino, che funziona mica, uè! Mi sali di là, fai il giro e lì trovarai i tubi intasati, che mi sa che son quelli che non vanno, mi sa.

GINO: graxie Mauro! In mezz’oretta gò bel che fatto! Comparmesso! (e così dicendo si arrampica su una scaletta, sull’estrema destra, che lo porta fuori scena).

SANDOKAN: ecco, bravo, bravo. (rivolgendosi ora a Lucia) Adesso va dalla Elena e vedi se ha finito la messa in piega, vai belina!

Lucia va da Elena, controlla il phon e gira un interruttore. Nel frattempo si vede comparire da destra Gino che si muove strisciando su un basso controsoffitto, che è sopra il negozio e si vede di lato. Si fermerà per la riparazione proprio sopra la posizione delle sedie di Maria ed Elena.

LUCIA: ecco qua, fatto! Fra 10 minuti avrà finito signora Maria.

MARIA: attenta bimba, di non combinarne n’altra delle tue… (ad Elena): ma queo nol xe Gino, marìo dea Luigina, quea de via Coronarie?

ELENA: ma sì! E’ proprio lui! Me fa compassion, povero fìo!

MARIA: parchè compassion?

ELENA: ma, parchè, ai giorni nostri, non se può più lasciar a casa le moièri tranquillamente: chissà cosa combinano quando son a casa da sole…

Mario sta’ chino verso il pavimento per la riparazione e si capisce che riesce a sentire quello che si sta dicendo di sotto, tanto che si ferma e avvicina l’orecchio per ascoltar meglio.

MARIA: ma dai, Luigina! Che tradisse Gino! Ma no ghe credo! Sul serio?!? Ma chi te lo gà dito?

ELENA: Monica me l’ha detto, la fioraia! E come ben puoi capire, lei sa dove va a finire ogni petalo di rosa in paese! Ah ah! Proprio stamattina ‘a dise che un uomo… (in quel momento un urlo cacciato da Maria la ferma)

MARIA: aaaaahhhh! Brusoooooo!!! Mauro, me brusa i caveiii!! Spegni sto coso, subito!!!

SANDOKAN (intervenendo): calmina Maria, uè non ghel mia successo niente! Che vuoi che sia un po’ di caldo in testa, ti si scaldano meglio i pensieri! Tiè! (e stacca il phon che si era surriscaldato)

MARIA: ah signur! Anca questa ghe mancava! El me gà quasi brusà i cavei! Senti qua che odor de brusà, ostia…

Entra in scena da sinistra la fioraia, trentenne, piccola con i capelli neri alle spalle, va a sedersi accanto ad Elena e viene accolta da Sandokan.

SANDOKAN: uelà, buongiorno Monica, accomodati qui! Sei stupenda come un crisantemo!

MONICA: sì, bella come un biancospino, va va… Il solito taglio estivo, grazie.

SANDOKAN: Lucia, comincia ad accorciare, su!

MARIA (sottovoce a Elena, avvicinandosi un po’): sì, sì, un bel tajetto estivo Lucia! Eh eh!

Intanto Gino, un po’ turbato, continua a lavorare, ma tira le orecchie per ascoltare.

MONICA: me li fai lunghetti ai lati, me li accorci un po’ dietro e mi fai la frangia davanti (così dicendo si siede e si toglie gli occhiali).

LUCIA: ok! Capito tutto! Se vuole il giornale.. (le porge una copia di una rivista di gossip e comincia a sforbiciare)

MONICA: grazie! E stai attenta alla frangia, mi raccomando!

MARIA: oh, buondì bea! Come va ‘sto mese, se vende ben, ah?!?

MONICA: beh, sì, non c’è male, si vende, si vende…

ELENA (ammiccante): soprattutto stamattina, no?

MONICA: beh, sì, il funerale del Benettin si farà ricordare per i cuscini e le 10 corone di orchidee asiatiche… E per fortuna che non ha voluto solo opere di bene! (sorride)

MARIA: e quel sovàne che andava in via delle Coronarie, nol gà comprà niente?!?

MONICA: ahi! Stai attenta ragazza, mi stai tirando i capelli! Ma a chi sta alludendo, siora Maria?

MARIA: eh, te me gà capiò ostrega! Xe che no te vol dir niente!

MONICA: beh, pare che si sia sparsa la voce dell’amico di Luigina, eh? (volgendosi verso Elena)

MARIA: ciameo solo amigo! Ah ah! Ma se pol savèr cossa che el gà comprà? Un mazzo almanco da 50 €!

MONICA: pensi quello che vuoi, io non chiacchero dei miei clienti, sono una professionista seria, io!

MARIA: tzè! Ti te si seria, ah! Ma fame un piaser! Te la gà raccontà ti a Elena ‘sta storia!

ELENA (piano, verso Maria): perchè non te sa’ che dopo del fioraio, è passato a prendere il caffè al bar di fronte casa! E Giulia, la barista l’ha visto anche salir su! E sa anca come si chiama, che ha sentito Luigina chiamarlo dalla finestra!

MARIA: ma eora xe tutto vero, ostia! E come se ciameo, sentimo!

ELENA (in modo confidenziale, avvicinandosi): El se ciama Mario!

MARIA: Mario! Anca el nome savemo! Pensa ai corni che ghe mette Luigina, corni grandi cussì, ah ah! (indica con le mani sopra la testa e tutte si mettono a sghignazzare)

Gino a questo punto è furibondo. Interrompe quello che sta facendo e torna sui suoi passi, trascinandosi indietro per uscire.

MONICA (mettendosi gli occhiali e volgendosi verso lo specchio per vedersi): ok ragazza, vediamo un po’… AHHHHHH!!! Ma cosa hai fatto?!? Dove sono i miei capelliiii e la frangiaaa?!? Cosa mi hai fatto??? Mauroooo!!!

Contemporanemente Elena si accorge che le sta colando sulla fronte un filo di colore nerastro, e si innoridisce.

ELENA: ahhhh! E questo colore nero, cos’è? Gaveo chiesto i colpi di sole, mi! Luciaaaa!!!

PAOLA: me volè finir de pettinarme, che devo ‘ndar a casa? Sbrigheve!

Nel trambusto Gino si accorge che la botola da cui deve scendere è rimasta bloccata e batte i pugni urlando per farsi aprire di sotto.

GINO: apritemi, apritemi, che se non esco subito faccio un macello!

Sandokan non sa che fare, Lucia prende l’aspirapolvere e comincia a raccogliere i capelli, le tre donne urlano e gesticolano, in cuor loro anche agitate, avendo capito che Gino ha sentito tutto e sta cercando di uscire. Finalmene Gino si libera ed entra in scena arrabbiato come una belva, scagliandosi contro le signore.

GINO (gesticolando animosamente): brutte befane inacidiee! Se xè vero che me mojer me tradisse, ve fasso calve, ma de testa, come xè vero Dio! E ringraziè i vostri santi che desso coro casa a darghe ‘na lesion a me mojer, che no gò tempo par voialtre! Streghe!

E così dicendo esce affrettatamente di scena a sinistra e mentre continua il trambusto generale, cala il sipario.

SCENA II

Interno di un’abitazione, l’ingresso. Dei quadrucci realisti alla parete, un mobiletto con sopra il telefono e qualche foto di famiglia verso il centro. Accanto un divano ed una poltrona inj simil pelle La porta d’ingresso è a destra, ma non si vede. Accanto un attaccapanni a cui è appeso un giaccone da uomo. Si sente parlottare fuori campo, voci di un uomo e una donna.

LUIGINA: speremo che me marìo non lo sapì mai, Mario, se no sucede un finimondo…

MARIO: non preocuparte, fra poco vao via, non el savarà niente, come se fossi mai stà qua.

Si sente sbattere violentemente una porta. E’ la porta d’ingresso. Luigina capisce che può essere Gino e, un po’ spaventata corre in corridoio. Gino entra in scena da sinistra, furibondo, e nota subito l’abito da uomo appeso all’ingresso.

GINO (indicando il giaccone): e questo cossa xeo, se pol savèr Gina? Ah? De chi xeo? Gavemo ospiti?

LUIGINA: ‘assa star, no xe affari tui, torna pì tardi, che xe mejo…

GINO: ah, cussì non dovari importarmene a mi, ah? Varda che de dago una de quee papine che te te ricordi un tòco!

LUIGINA: te digo de tornar dopo, xe mejo te digo… (e si pone di fronte a lui in modo che non possa passare)

GINO: spostàte subito, se no te spaco ‘a boca!

LUIGINA: se te te calmi un attimo te spiego tuto… Calmate però Gino!

GINO: calmarme? Mi dovaria calmarme?!? Te spaco ‘i ossi se no te te fa pì in là!

Così dicendo le sferra un sonoro schiaffo. Subito dopo, ansimante un po’ sorpreso per il gesto impulsivo e sconsiderato, si guarda la mano dolorante e poi la moglie, che è rimasta con un espressione incredula ed interrogativa.

GINO: e questo xe solo l’inizio… spostate, che vao a darghe ‘a so parte anca a Mario… pensa, so’ anca el nome: Mario!

LUIGINA (facendolo passare, sfregandosi con una mano la guancia colpita): va, va insemenìo che no te sì altro…

Gino l’oltrepassa furioso e va spedito verso sinistra, uscendo di scena. Tornerà dopo qualche secondo con un braccio posato affettuosamente sulla spalla di uomo sulla quaratina, magro, un po’ patito, con lo sguardo basso ma fiero, parlando all’amico, senza badare la moglie.

GINO: caro Mario, te vedo benon! Un po’ bianchèto, ma in gran forma! I te fa magnar ben in prison, ah? Se to’ sorea me gavesse dito che te saria vegnuo a trovarme…

LUIGINA (fra sè): sì, perchè a ti te fa piasser de vedar me fradeo, se teo disèo te me ne diséi de tuti i colori, tzè…

GINO: dai, sentàte, vecio mio, e contame come che ‘a xe ‘ndada ‘sti diese ani al fresco! Chissà che bèa esperiensa, quanti libri che te gà lèto, contame! (rivolgendosi sorridente alla moglie) E ti Gina, portame do’ ombre de rosso, de queo de me pàre, che sarà un tòco che lu nol beve roba bòn! Va, va!

MARIO (a metà tra timoroso e appassionato): cossa votu che te conto, no xe ‘na bea esperiensa el carcere, gavaria fato voentieri a manco, tuto par quea dannada rapina a mano armada, gavè dito mi che bisognava usar un mezò pì veloce par scampar, altro che quea vecia Uno bianca, bisognava riempirla ben de benzina, che quando semo rivai forà città semo rimasti a piè, e xe stà allora che ‘a puissia ‘a me gà ciapà, che se fosse stà par mi … (racconta il finale con tono di voce via via più basso, riducendolo gradualmente, in modo che si senta chiara l’ultima battuta di Gino)

GINO (guardandolo vacuo, sovrappensiero, e dicendo una cosa fra sé, ma in modo che senta bene anche il pubblico, scuotendo il capo): chiacchere. Chiacchere della gente… (ripetendo una seconda volta, fisserà il pubblico davanti a sé, facendo una veloce panoramica con la testa, come per guardarlo tutto ed ammonirlo) Chiacchere…

Mentre ripete quest’ultima frase scenderà il

SIPARIO

Scritto nel 2004 come esercitazione scolastica, materia italiano (frequentavo l’Istituto Cine – TV Roberto Rossellini di Roma).

curriculumdownload-48 (scarica in pdf)