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STYX – presentazione del film di Wolfgang Fischer

Lunedì ero all’anteprima del film STYX di Wolfgang Fischer, al cinema Farnese di Roma. Ho filmato le dichiarazioni del regista alla fine della proiezione e mi sembra doveroso pubblicarle per capire perchè è importante vedere STYX, al cinema da oggi 15 novembre 2018. E’ un film che deve essere visto per comprendere cosa vuol dire morire in mare cercando di salvarsi la vita, fuggendo da un luogo diventato inospitale, dovendo migrare dal Sud al Nord el Mondo in cerca di una nuova vita. Ecco la presentazione di Styx.

Wolfang Fischer racconta il suo film (traduzione di Paolo Minuto, distributore italiano per Cineclub Internazionale Distribuzione)

“Il progetto del film è nato nel 2009 e in quel periodo c’erano molte barche che portavano i profughi verso le Canarie. Oggi questo tragitto è ripreso, perchè nel Mediterraneo non ci sono tante navi di salvataggio. Questa tratta ora è di nuovo frequentata e si è aperta anche una nuova tratta nell’Oceano Atlantico, molto piu’ lunga e pericolosa verso l’America Latina e verso il Brasile Messico in particolare. Il film è stato girato al 90% in mare aperto. Nessuno della troupe sapeva nulla della barca a vela, era addestrato al mare. Tutti hanno fatto scuola in un lago in Germania.

L’attrice Susanne Wolff è stata scelta perché è molto “fisica”, come il film. Lei, oltre all’allenamento nel lago, ha fatto un ulteriore allenamento con uno skipper professionista, nel Mare del Nord. Per condurre da sola la barca a vela. Poi è stata addestrata ad essere anche un medico professionista, è stata seguita da una vera equipe di soccorso medico. E’ stata scelta Gibilterra come inizio del viaggio della protagonista, Susanne Wolff che interpreta Rieke. Le colonne d’Ercole di Gibilterra rappresentano infatti la fine dell’Europa e l’inzio di un altro mondo. Lei naviga verso l’Isola di Ascensione, verso il Paradiso. Le riprese sono durate, sulla barca, 42 giorni con una troupe di 10 persone (commpresi i due attori protagonisti). Sono riusciti a realizzare le riprese nascondendo la camera da presa o dietro le vele o sotto la coperta.

Il film non vuole sembrare un’inchiesta giornalistica su cio’ che accade nel mediterraneo, per non rischiare di riproporre sullo schermo qualcosa che il pubblico occidentale vede tutti i giorni in TV. Quindi la scelta drammaturgica del film è anche metaforica: una persona, una donna che naviga da sola da Nord verso Sud che incontra, a metà strada, delle persone disperate che navigano da Sud verso Nord. La donna deve far fronte ad una situazione di insicurezza che non c’è nel Mediterraneo, perché nell’Oceano si affrontano altre realtà fisiche del mare e dei venti, che hanno aiutato da un punto di vista drammaturgico lo svolgimento della storia.

Le procedure di scurezza del mare, la legge è chiara: bisogna salvare chiunque sia in pericolo, ma purtroppo oggi non vengono sempre praticate. Ci sono in mezzo questioni sui migranti, i governi non vogliono intervenire… Lei sa come si soccorre una persona, ma forse il suo sapere è persino troppo, perché non può utilizzarlo, perché c’è il rischio, anche suggerito da chi parla con lei (la Capitaneria di Porto e un’altra imbarcazione nei dintorni), che tentando il soccorso, rischia addirittura di creare piu’ danno. Si trova in una situazione di dubbio, di dilemma: cosa fare? Il film vuole suscitare anche una domanda. Ma noi, al posto suo, cosa avremmo fatto? E’ una situazione in cui non c’è una scelta precisa, ci sono piuì scelte giuste e allo stesso tempo le scelte giuste possono provocare ulteriori danni. Questa domanda, secondo il film, ha solo una risposta immediata, che una persona da sola non può risolvere il problema, non può salvare le vite tutte queste persone. Se questo lo trasferiamo metaforicamente agli Stati, ci fa rendere conto che uno Stato, da solo, non può salvare tutte queste persone.

Abbiamo bisogno che l’Unione Europea sia piu’ “unione”, sia piu’ unita e che tutti, spalla a spalla, possiamo insieme essere una forza che salva vite umane e risolve la situazione. Da soli non possiamo affrontare una situazione del genere, anche se siamo super competenti come la protagonista. Dal 2009, quando è stato scritto il film, tutto è cambiato in peggio. Le ultime scene sono state girate nel 2016, davanti a Malta, quando ancora c’erano presenti navi delle ONG che salvavano vite umane. Nel giro di un anno non c’è piu’ nessuno e se c’è un barcone in avaria molto probabilmente provoca un naufragio…

E’ vero che nel Mediterraneo oggi stanno lavorando meno trafficanti, ma perchè le rotte sono cambiate, sono tornate sull’Oceano. O addirittura non arrivano neanche al mare, si fermano prima, muoiono nel deserto. E purtroppo questi casi, Oceano e deserto, sono fuori dai nostri reportage e quindi non li vediamo, non ne sappiamo nulla. E’ come un sipario chiuso, è come se tutto ora avvenisse dietro le quinte. Forse ci sono ora ancora piuì morti e noi non lo sappiamo, anche se intuiamo che sta accadento questo. E’ un problema epocale che seguiremo per decadi ancora. Come cineasta Wolfhang Fischer sente che il cinema ha questo potere, e ha fatto questo film di finzione, anzichè un documentario, per creare empatia con il pubblico, per creare un dialogo. Aprire un dialogo con il pubblico vuol dire fare un passo nella giusta direzione.

Questo film è fra i 3 finalisti del Premio Lux 2018, premio dato dal Parlamento Europeo e il fatto che i parlamentari europei vedranno questo film è importante, perché il Parlamento Europeo è un consesso dove si prendono decisioni importanti. Questo è un film senza effetti speciali, senza effetti particolari in post produzione. Per rendere piu’ realistico il film, il regista ha scelto delle persone che realmente fanno il lavoro che è rappresentato nel film, cioè l’equipe medica e di soccorso marino sono, nella vita, veramente quello che si vede sullo schermo. Le persone del peschereccio in avaria sono realmente persone che sono arrivate in Euorpa avendo attraversato il mare proprio nel modo che si vede nel film. Questo dà un aspetto molto realistico alla vicenda umana e quindi al film.

Il secondo personaggio, quello di Kingsley, interpretato da Gedion Wekesa Oduor è stato scelto in un casting fatto a Nairobi, presso una scuola di una ONG presieduta dal regista Tom Tykwer, amico di Fischer. Tykwer dirige una scuola che dà un’istruzione ai ragazzi piu’ poveri, quelli che vivono nelle baracche, nelle bidonville. In questa scuola Wolfhang Fischer è andato con Susanne Wolff e insime hanno scelto 16 ragazzi, tra cui è stato scelto appunto Gedion Wekesa Oduor, che ha sempre vissuto lì, non ha mai nuotato, che dovuto fare un addestramento per imparare a stare in mare. Questo ha portato Gedion (che nel film è Kingsley), a interpretare bene la sua parte, il suo personaggio, ed è stato un esempio: ha già 2 contratti a Hollywood e sta per girare un film in Spagna come protagonista. Il suo modello positivo ha portato piu’ bambini alla scuola di Nairobi. Questo ha dimostrato che possiamo fare qualcosa insieme e ci può essere un ponte tra l’Euorpa e l’Africa, tra due culture molto diverse ma che in realtà possono collaborare”.

Wolfgang Fischer e Paolo Minuto alla premiere di Styx

Wolfgang Fischer e Igor Francescato al cinema Farnese di Roma

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